La prima cosa che faccio quando inizio ad organizzare un viaggio è saccheggiare la biblioteca.
Guide, approfondimenti storici, reportage di viaggio, saggi e biografie: chi più ne ha più ne metta!
Anche questa volta non poteva essere altrimenti e da gennaio a questa parte le mie letture sono praticamente monotematiche o, per meglio dire, bitematiche.
Con non poca fatica ho quindi stilato un bell’elenco da condividere con voi: ecco qui allora 10 libri su Nepal e Tibet da leggere per prepararsi ad un viaggio tra Kathmandu e Lhasa.
Forget Kathmandu
Il libro si apre con la tragica notizia dell’uccisione di nove membri della famiglia reale nepalese per mano del principe ereditario.
Allo sgomento e al dolore per questa tragedia subentra però quasi subito lo scetticismo per la presa di potere da parte dell’impopolare fratello del re.
E il sospetto diventa sempre più forte quando nel giro di pochi anni la giovane democrazia nepalese viene scossa da un colpo di stato militare che riporta il Paese nelle mani di una monarchia assoluta (il ritorno ad un democrazia parlamentare è avvenuto solo nel 2008).
L’autrice, la giornalista Manjushree Thapa, ci racconta quindi un Nepal ben lontano dall’immagine di quella Shangri-La himalayana, paradiso del trekking e dell’alpinismo, a cui siamo abituati a pensare.
Dalle sue parole emerge il ritratto di una terra complessa, un paese piccolissimo dove vivono circa 30 milioni di persone, che si dividono in 90 caste e gruppi etnici, parlano 71 lingue e dialetti diversi e dove riti indù si intrecciano a quelli buddisti, musulmani, animisti, sikh e cristiani.
Una breve storia del Nepal più vero che merita di essere conosciuta.
Ti telefono a Katmandu
Tutti coloro che sono transitati da Kathmandu diretti alle grandi cime himalayane conoscono il nome di Elizabeth Hawley.
O meglio di Miss Hawley, come veniva chiamata con deferenza quest’eccentrica signora americana che ha fatto del Nepal il suo paese d’adozione.
La cosa curiosa è che Miss Hawley non è mai stata un’alpinista, ma si può dire che nessuno abbia conosciuto l’alpinismo himalayano meglio di lei.
E’ stata un vero e proprio archivio vivente: ha intervistato – o meglio interrogato! – i protagonisti delle grande imprese, ha raccolto e verificato una miriade di informazioni per renderle il più attendibili e precise possibili.
E i grandi scalatori sapevano di poter basare su queste informazioni i propri sogni di gloria, così come di dover passare un vero e proprio esame al loro ritorno: per questo tutti, prima e dopo le loro spedizioni, passavano da lei.
Scrupolosissima, tanto diretta nei modi da sembrare brusca, ma forse necessario per farsi rispettare in un mondo di uomini.
Corrispondente dal Nepal per le maggiori riviste di settore mondiali e per le più grandi agenzie giornalistiche, amica personale dei più grandi himalaysti come Sir Edmund Hillary e Reinhold Messner, la storia di Elizabeth Hawley è tutta da scoprire.
Sonam Sherpa
Sherpa è una parola composta da sher che significa est e pa che significa popolo, uomini.
Da sempre questo popolo dell’est, dotato di una resistenza e di una capacità di adattamento incredibile, ha percorso il territorio himalayano da nord a sud, attraversando i grandi passi e le valli più recondite.
Quel che è certo è che senza di loro i primi occidentali arrivati a scalare le montagne dell’Himalaya non ce l’avrebbero mai fatta a raggiungere la vetta.
Attraverso il racconto della vita di Sonam Sherpa, che ha assistito centinaia di alpinisti nelle salite agli ottomila – prima accompagnandoli e poi attraverso la sua agenzia – si ripercorrono le origini, la cultura e le tradizioni di questo popolo straordinario.
Con la speranza che gli sherpa smettano di essere identificati semplicemente come dei portatori e invece riconosciuti a pieno titolo dei veri e propri compagni di scalata.
Tibet – Storia di un popolo e di una nazione
Parlare di Tibet non è certo cosa facile.
Il Tibet politico è infatti altra cosa dal Tibet etnografico, per non parlare del Tibet religioso o della cultura del Tibet in senso ancora più lato.
Gli stessi tibetani quando parlano di Tibet si riferiscono alla regione centrale del Paese – ovvero quella che corrisponde all’attuale Regione Autonoma – mentre con Grande Tibet fanno riferimento al mondo culturale tibetano nel suo complesso.
Attraverso questo libro, il tibetologo inglese Sam Van Schaik ci accompagna nell’intricata storia del Paese delle Nevi, dalla sua fondazione alla dominazione mongola, dalla ritrovata indipendenza all’ascesa (e caduta) dei Dalai Lama per arrivare all’annessione alla Repubblica Popolare Cinese e ai giorni nostri.
Fotogrammi di un Tibet solo apparentemente immobile nelle sue antiche tradizioni, ma in realtà in continuo mutamento.
Viaggio di una parigina a Lhasa
Alexandra David-Néel è stata la prima donna occidentale a mettere piede a Lhasa dopo un viaggio a dir poco avventuroso.
Orientalista, esploratrice, fotografa, intraprese il viaggio descritto in questo libro all’età di cinquantacinque anni.
Un viaggio clandestino, che all’inizio si svolge quasi esclusivamente di notte, travestita da pellegrina, insieme al futuro figlio adottivo Aphur Yongden, giovane monaco tibetano.
Una marcia lunga e faticosissima tra paesaggi da sogno, freddo, fame e paura dei briganti.
Ma alla fine eccoli arrivare a Lhasa dove rimangono più di due mesi prima di riprendere il cammino e raggiungere la frontiera indo-tibetana.
L’impresa è un successo: Alexandra torna in Europa accolta come un’eroina, tutti la reclamano.
Tiene conferenze, scrive libri ma il richiamo del viaggio è troppo forte.
Ripartirà così alla volta della Russia e della Cina, ma questa è un’altra storia…
Il paese delle donne dai molti mariti
Giuseppe Tucci è stato probabilmente il più grande tibetologo mai esistito.
Un orgoglio tutto italiano, ma si sa che non si può essere profeti in patria, soprattutto quando sulla cultura si allungano le ombre (fasciste) della politica.
Esploratore, orientalista, poliglotta prodigioso tanto da essere definito una sorta di Mozart della filologia classica e degli studi orientali.
Era arrivato per la prima volta nel paese delle donne dai molti mariti nel 1928 alla ricerca dei grandi monasteri e dei sacri testi custoditi al loro interno: è il primo viaggio iniziatico che lo porterà in Tibet per altre sette volte (oltre che quattro volte in Nepal).
Tucci ha avuto la fortuna di esplorare e di conoscere “una delle contrade più fascinose del mondo dove l’uomo, umiliato dalla immensità e dal silenzio, in ogni luogo immagina e sospetta presenze divine invisibili ma certe”.
Un Tibet oggi in gran parte scomparso, ma che possiamo (ri)scoprire attraverso i suoi scritti illuminanti e appassionati.
Segreto Tibet
Fosco Maraini, che non necessita certo di presentazioni, ebbe il privilegio di accompagnare il Professor Tucci nelle spedizioni del 1937 e del 1948.
Segreto Tibet è quindi un altro grande classico per chiunque si appresti ad intraprendere un viaggio nel Paese delle Nevi.
Mentre le descrizioni di Tucci sono sempre fatte con l’occhio dello studioso, quelle di Maraini sono così piene di sentimento e di stupore che non possiamo non sentirci in viaggio con lui.
Grazie alle sue parole e alle sue fotografie possiamo infatti lasciarci trasportare in quello che lui stesso definisce “un’eccezione nel mondo, per l’integrità con la quale si erano mantenuti lassù i molteplici aspetti di una cultura antica e singolare“.
Un’integrità destinata purtroppo a durare ancora per poco tempo.
Sette anni nel Tibet
Ok, dimenticatevi per un attimo il bel faccione di Brad Pitt e partiamo dall’inizio.
Autore e protagonista di questo libro è Heinrich Harrer, alpinista che aveva fatto parte della cordata che per prima violò la celebre parete nord dell’Eiger.
Per questo, all’inizio del 1939, viene chiamato a far parte della spedizione tedesca per conquistare la vetta inviolata del Nanga Parbat aprendo una nuova via.
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale però, Harrer e i suoi compagni vengono internati in un campo di prigionia inglese in India.
Sembra essere la fine, ma invece è l’inizio di un’avventura incredibile.
Nel 1944 Harrer e il capo-spedizione Peter Aufschnaiter riescono ad evadere e dopo aver percorso oltre duemila chilometri a piedi raggiungono il Tibet.
Nonostante il freddo, la fame, la difficoltà nel comunicare in una lingua conosciuta a malapena e la diffidenza di una popolazione non abituata al contatto con gli stranieri, i due riescono ad arrivare nella città proibita di Lhasa: qui finalmente trovano ospitalità, suscitando l’interesse e la curiosità delle classi più alte.
La notizia della loro presenza giunge anche alle orecchie dell’allora quattordicenne Dalai Lama, di cui Harrer diventerà ben presto amico.
Una storia incredibile, una testimonianza unica e preziosa sugli ultimi anni di un Tibet ancora libero e indipendente.
Everest. In vetta a un sogno
Non si può parlare di Nepal e Tibet senza pensare all’Everest e Simone Moro è senza dubbio un narratore d’eccezione.
Attraverso il racconto delle sue imprese, che lo hanno portato dalle Alpi bergamasche al Tetto del Mondo, Moro ripercorre la storia della conquista dell’Everest: il mistero di Mallory e Irvine, il successo di Hillary e Tenzing, la spedizione italiana di Monzino, la prima scalata senza ossigeno di Messner…
E’ un libro che emoziona perché quello che emerge in filigrana, tra parole appassionate e fotografie che fanno sognare, è che il raggiungimento della vetta non è mai conquista della montagna, quanto piuttosto di se stessi.
L’alpinismo quindi come un mezzo – di conoscenza dei propri limiti, delle proprie paure ma anche della propria forza – piuttosto che un fine.
E il viaggio verso l’Everest diviene una meravigliosa metafora della vita lungo la quale si possono imboccare “vie” diverse, più o meno difficili e più o meno pericolose.
Sull’Everest
Tra il libro di Tenzing e quello di Hillary ho scelto quello di Tenzing Norgay.
Tenzing è infatti “un figlio dell’Everest”, discendente di contadini e pastori di yak.
Avrebbe dovuto diventare un lama, ma la montagna così alta che nessun uccello può sorvolarla – così amava chiamarla – aveva in serbo per lui un destino diverso.
“Sono un uomo fortunato. Avevo un sogno e si è avverato“.
Così Tenzing descrive il suo stato d’animo quando finalmente alle 11.30 di quel fatidico 29 maggio del 1953 per la prima volta due uomini misero piede sul Tetto del Mondo.
Sette volte Tenzing ha tentato – dopo essere tra l’altro andato vicinissimo al successo già l’anno prima, con una spedizione svizzera – “non con l’orgoglio e con la forza, non come un soldato affronta un nemico, ma con amore, come un bambino che si arrampica sul grembo della madre. Thuji chey Chomolungma, sono riconoscente”.
Parole bellissime che sono certa mi risuoneranno nella mente quando mi troverò al cospetto della montagna più alta del mondo: incredula e riconoscente.
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