Non so voi, ma io quando mi intrippo per qualcosa entro in una specie di vortice di scoperta da cui non vorrei più uscire.
Con l’Everest è stato così: più leggevo e più volevo sapere.
E così, dopo aver stressato all’inverosimile mio marito con i miei continui “sai cosa ho scoperto?“, ho raccolto in questo post 10 curiosità sull’Everest che forse non conoscete.
Perchè l’Everest si chiama Everest
La montagna più alta del mondo fu scoperta solo nel 1852.
Prima di allora il primato era detenuto dal Kanchenjonga, con i suoi 8.586 m, e nessuno sapeva con esattezza quanto fosse alta quella che era conosciuta con l’insignificante nome di Peak XV.
Fu la Royal Geographic Society a decidere di chiamarla Monte Everest, in onore di Sir George Everest ovvero colui che diresse i lavori della Great Trigonometrical Survey of India dal 1823 al 1843.
La proposta suscitò una forte opposizione e lo stesso Everest caldeggiò l’utilizzo di un nome locale.
Ma così non fu e da allora la montagna più alta del mondo è per tutti l’Everest, anche se ad onor del vero con una pronuncia diversa rispetto al cognome di Sir Everest che suonava qualcosa come «Ivrist».
Qomolangma e Sagarmatha, gli altri nomi dell’Everest
Solamente negli anni più recenti si è deciso di affiancare alla denominazione ufficiale riportata sulle carte geografiche anche i nomi in tibetano e nepalese.
Nomi che hanno sicuramente un significato più profondo ed evocativo, che meglio si addice all’aura di magia e rispetto che ruota intorno all’Everest.
E cosi per i tibetani l’Everest è il Qomolangma (o Chomolungma) ovvero la dea madre dell’universo, mentre per i nepalesi Sagarmatha con un significato simile.
Insomma, in confronto il nome Everest è quasi banale.
Quanto è alto l’Everest
La risposta sembrerebbe scontata perché fin da bambini abbiamo imparato a memoria quel famoso 8-8-4-8, quasi fosse una sorta di formula magica.
Eppure l’altezza dell’Everest è ancora oggetto di dibattiti e controversie tra gli studiosi.
La prima misurazione ufficiale fu fatta dagli inglesi nel 1856 e fece registrare un’altezza di 8.839 m, mentre l’altezza di 8.848 m fu determinata dall’Indian Survey nel 1955.
A complicare ulteriormente le cose c’è il fatto che l’Everest è una montagna relativamente giovane e, come tutta la catena himalayana, ogni anno continua a crescere di circa 4mm a causa del movimento delle placche continentali.
Nel 1999 una spedizione americana, utilizzando una particolare tecnologia GPS, arrivò a misurare l’altezza di 8.850 m, ad oggi ufficialmente utilizzata dalla US National Geographic Society anche se non registrata dalle carte nepalesi.
Curioso è anche il fatto che Nepal e Tibet, o per meglio dire Cina in questo caso, riconoscano due altezze diverse per l’Everest.
Mentre infatti il Nepal ha sottoscritto l’altezza di 8.848 m, per la Cina l’altezza ufficiale è leggermente inferiore perché non considera il manto nevoso.
Because it’s there
I primi tentativi di raggiungere la vetta dell’Everest risalgono agli anni venti del secolo scorso, quando furono organizzate le prime spedizioni britanniche.
Celebre è la risposta di George Mallory, di ritorno dal suo secondo tentativo di scalata e in procinto di farne un terzo, alla domanda «Perché vuoi scalare l’Everest?» in un’intervista al NY Times: «Because-it’s-there». Perché è lì, semplicemente.
Perché per il solo fatto di esistere, spinge l’uomo ad essere la migliore versione di se stesso, a confrontarsi con i propri limiti e le proprie paure, fino a superarli.
Una risposta magnifica nella sua semplicità.
Il mistero di Mallory e Irvine
La mattina dell’8 giugno 1924, Mallory venne visto uscire dalla sua tenda posizionata sulla parete nord dell’Everest con il compagno di scalata Andrew Irvine, pronti a sferrare l’attacco finale alla vetta.
Alle 12.50, tra una folata di neve e un’altra, furono avvistati per l’ultima volta a circa duecento metri dalla cima per poi scomparire per sempre, lasciando dietro di sé un alone di mistero.
Nessuno può dire con certezza se Mallory e Irvine abbiano raggiunto la vetta dell’Everest, ben 29 anni prima di Hillary e Norgay, o se invece siano morti mentre stavano scendendo, dopo aver rinunciato all’impresa.
Ad alimentare i dubbi contribuirono anche le dichiarazioni di Mallory, il quale affermò che nel caso fosse riuscito a raggiungere la cima, vi avrebbe lasciato la foto della moglie che portava sempre in tasca.
E quando il corpo di Mallory venne ritrovato, 75 anni dopo, la foto della moglie non c’era…
Hillary e la fotografia mai scattata
A proposito di fotografie: se provate a fare una ricerca per immagini “Hillary+Everest” vi accorgerete presto che non esiste una fotografia che ritragga Edmund Hillary sulla cima dell’Everest.
Troverete invece la foto che ha fatto il giro del mondo, quella di Tenzing Norgay con il piccone alzato e le quattro bandiere sventolanti di Nazioni Unite, Regno Unito, Nepal e India.
Strano, non trovate?
Si è detto, anche con un punta di malignità, che Norgay non fosse capace di usare la macchina fotografica, che abbia addirittura guardato dentro il mirino non sapendo che dovesse premere il bottone.
Fandonie: la verità è molto, molto, più disarmante.
Fu lo stesso Hillary a non voler essere fotografato.
Aveva appena compiuto un’impresa eccezionale, era il primo uomo a mettere piede sul punto più alto della Terra, eppure non sentì il bisogno di immortalare per gli altri quel momento.
Lui sapeva di averlo fatto e questo gli bastava. Una lezione in questi tempi di selfie sfrenati che definire grande è poco.
29 maggio 1953: la fine di un mito
«È il 29 maggio 1953 veramente un giorno lieto per l’umanità? Dobbiamo esserne orgogliosi?»
È con queste parole che Dino Buzzati, in un memorabile articolo de Il Corriere della Sera, commenta la fatidica impresa.
Domande retoriche, provocatorie se vogliamo, che celebrano sì la straordinaria conquista, ma che allo stesso tempo lasciano trasparire il rammarico per un mito che viene svelato perché «…in fin dei conti era l’ultima fortezza della Natura vergine rimasta inviolata.
Non era forse meglio se l’Everest fosse rimasto intatto? Guardatela la superba montagna, la solenne cattedrale che fino al 29 maggio poteva essere creduta un miraggio, una parvenza, un mito. Non è forse più piccola di ieri? Non è in certo senso meno bella?»
E ancora: «Oggi l’incanto è rotto, oggi siamo sicuri che la cima favolosa è fatta come tante altre, che non vi abitano gli dei della montagna. Oggi l’Everest entra, pur se al primo posto, nel repertorio delle cime note, con nomi e cognomi di alpinisti, descrizioni dell’itinerario eccetera. È insomma cominciata la sua storia, ma è finita per sempre la leggenda. E adesso? Che resta più da fare?».
A questa domanda Buzzati si dà anche una risposta che forse, però, nemmeno lui avrebbe immaginato così vicina.
«Ci rimane la Luna – qualcuno dice – rimangono i pianeti, gli spazi siderali. Qui non c’è limite per la sete di ignoto e di avventure. Esaurita la Terra, esploreremo l’Universo».
La prima spedizione italiana sull’Everest
E gli italiani quando scalarono l’Everest?
La prima ascensione italiana fu compiuta nel maggio 1973 in una modalità a dir poco imponente.
La spedizione, capitanata dall’eccentrico esploratore Guido Monzino – proprio lui, il proprietario di Villa del Balbianello – coinvolse infatti 55 militari e 8 civili, impiegando due aerei Hercules per trasportare in Nepal – parzialmente smontati! – tre elicotteri C-130, a loro volta utilizzati per spostare ben 110 tonnellate di materiale.
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Un vero e proprio dispiegamento di forze con «l’intento di portare il tricolore sulla più alta montagna del mondo, per concorrere sul piano internazionale ad un’affermazione di prestigio per la patria» per usare le parole del Monzino.
Proprio l’utilizzo degli elicotteri, sia per portare gli alpinisti al Campo Base che per trasportare il materiale fino al Campo 2 a 6.500 m, suscitò parecchie polemiche.
Uno degli elicotteri tra l’altro si schiantò poco sotto il Campo 2 a causa delle difficili condizioni meteo e solo per un caso fortuito l’equipaggio rimase illeso.
I resti di Italia 1, questo il nome dell’elicottero, rimasero poi sull’Everest per ben 36 anni, prima di essere rimossi dalla Eco Everest Expedition.
L’Everest: la montagna dei record
Dopo la prima conquista da parte di Hillary e Norgay – e dopo la prima scalata senza ossigeno nel 1978 da parte di Reinhold Messner e Peter Habeler (ripetuta poi da Messner in solitaria nel 1980) – sembra che tutti si siano ingegnati per trovare il modo di essere ancora i primi in qualcosa sull’Everest.
Troviamo così:
- il più giovane a raggiungere la vetta (uno studente californiano tredicenne)
- l’uomo e la donna più anziani (entrambi giapponesi, rispettivamente di 80 e 73 anni)
- la prima coppia sposatasi sulla cima
- il primo scalatore a raggiungere la vetta con tre vertebre rotte (mah!)
- il gruppo più grande ad aver scalato l’Everest (una squadra di 410 cinesi!).
E ancora: la prima discesa con gli sci, quella con lo snowboard, quella più veloce (fatta con il parapendio) fino ad arrivare alla prima torcia olimpica portata da un gruppo di alpinisti cinesi in occasione delle Olimpiadi del 2008 e, ciliegina sulla torta, il primo tweet inviato nel 2011 dalla sommità dell’Everest.
Per la cronaca il tweet recitava così:
«Everest summit no 9! 1st tweet from the top of the world thanks to a weak 3G signal & the awesome Samsung Galaxy S2 handset».
L’Everest…non è la montagna più alta del mondo
Ta-daan: colpo di scena!
L’Everest è la montagna più alta sul livello del mare, ma non è la montagna più alta se la misuriamo dalla base alla vetta.
Il primato, in questo caso, spetta al vulcano Mauna Kea che si trova a Big Island, nelle Hawaii.
Sebbene la sua altezza sul livello del mare sia di “soli” 4.207 m, se misurato considerando la sua base che si trova a quasi 5.761 m sotto il livello del mare, complessivamente il Mauna Kea si eleva per 9.968 m.
Ben 1.120 metri in più dell’Everest.
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- 7 giorni in Tibet: il nostro itinerario da Lhasa al monte Everest
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2 comments
Sempre super interessante, però vogliamo le foto dalla vetta ?
Per quelle mi sa che dobbiamo aspettare le tue 😉